Ormai è fatta

Questo film è basato sull’autobiografia di Horst Fantazzini. Figlio di un anarchico, fu conosciuto nel Nord Italia come «il bandito gentiluomo». Rubava le banche senza usare la violenza, ma solo con una pistola giocattolo. Dopo numerose disavventure e fughe, nell’estate del 1973 tentò un’epica evasione dal carcere di Fossano in Piemonte. Questa volta gli andò male, usò una pistola vera per scappare e ben presto si ritrovò nei guai… 

(The movie is based on the autobiography of Horst Fantazzini. Son of an anarchist, he was known in Northern Italy as «the gentleman bandit» because he robbed banks with no violence, using only a toy gun. After a number of trials and escapes, in the summer of 1973 he is held in the Fossano jailhouse in Piedmont when he tries to escape once again. This time things turn for worse and he has to use a real gun and take two policemen as hostages).

 

 

Director:

Enzo Monteleone

Writers:

Horst Fantazzini (book), Angelo Orlando e Enzo Monteleone

Stars:

Stefano Accorsi, Emilio Solfrizi, Giovanni Esposito, Fabrizia Sacchi, Alessandro Haber.

 

COSÌ SCRISSI LA PRIMA STESURA DI QUESTO FILM

Più o meno siamo nella primavera del 1997. Stavo lavorando con Gianfranco Piccioli sulla produzione del mio secondo film da regista: Barbara. Gianfranco mi racconta in ufficio la storia rocambolesca di un uomo che era in carcere, condannato non so a quanti anni per una serie impressionante di condanne che si erano sommate, la maggior parte delle quali era per rapina ed evasione. E poi mi dà un libretto, pubblicato da Soccorso Rosso Militante,  un’organizzazione che forniva assistenza legale e organizzativa ai militanti della sinistra extraparlamentare in arresto o latitanti. Il titolo era Ormai è fatta. L’autore era Horst Fantazzini.

Gianfranco mi dice che il libro glielo aveva portato il regista e sceneggiatore Enzo Monteleone e che voleva farne un film. Io leggo il libro che altro non era che un’autobiografia, fino al tragico epilogo dell’ultima evasione, quella dal carcere di Fossano, nel 1973. Gianfranco vuole che io scriva una prima stesura. Non avevo mai scritto una sceneggiatura per un altro regista, soprattutto per un regista che solitamente era anche sceneggiatore delle sue storie. Monteleone tra l’altro non era uno sceneggiatore qualunque, aveva scritto Mediterraneo che cinque anni prima, aveva vinto un oscar come miglior film straniero. Insomma, penso di non essere adatto a quel lavoro. Gianfranco però insiste così tanto che alla fine mi convince. Mi fa un contratto di commissione e nel giro di poco tempo, mi ritrovo nel mondo di Horst Fantazzini.

Scrissi una sceneggiatura partendo dalla cronaca biografica di quel libretto che avevo tra le mani: partii dall’infanzia, fino ai fatti del tragico tentativo di evasione del carcere di Fossano.

Horst non era soltanto un ladro, un rapinatore di banche. Da quel piccolo libro, avevo visto l’estremo tentativo di ribellione alla vita di un uomo che partendo da se stesso, aveva fatto della fuga, il suo più grande obiettivo. Horst aveva bisogno di scappare e di sentirsi in fuga perché amava a tal punto la vita da non sopportarne le tante ingiustizie che la sua sensibilità gli metteva di fronte, giorno dopo giorno.

Sono profondamente convinto che le rapine in banca erano un pretesto. Gli servivano solo come una miccia che doveva far scoppiare quel conflitto che lo avrebbe portato alla fuga. Erano l’adrenalina di cui si nutriva. Certo, c’erano anche i soldi ma, la famosa frase che «era più criminale fondare una banca che rapinarla» non era la sola verità. Horst era figlio di un anarchico e fin da giovanissimo aveva frequentato gruppi di anarchici andando alle loro riunioni. Era un individualista e per questo si è ritrovato sempre da solo. Era un solitario Horst ma la sua solitudine era una scelta per proteggere i suoi affetti.

Erano motivi meno sociali quelli che spingevano Horst a rapinare banche e molto più psicologici.

Mi appassionai talmente alla vita di Horst che vissi per un paio di mesi in contatto con qualcosa che me lo faceva sentire vicino. Mentre scrivevo ascoltavo la musica dei canti dei nativi americani. Erano inni e mantra che mi trascinavano in una sorta di viaggi nel passato. Rivedevo la vita di Horst, le relazioni con i suoi affetti, gli incontri fugaci con le sue amanti, il rapporto con i suoi amici e poi le rapine, studiate meticolosamente, tragitti di fuga dove l’improvvisazione era soltanto una variante su un piano perfettamente calcolato.

Non ho mai voluto incontrare Horst di persona. Mi bastò parlare con la sua fidanzata di allora che si chiamava Pralina. La incontrai a Bologna una mattina. Quando parlava di Horst le si illuminavano gli occhi. Mi bastarono gli occhi innamorati di Pralina per collegarmi con lui. Non avevo mai scritto su un personaggio reale e Pralina mi aiutò per entrare in contatto con quello che era una vera e propria energia che faceva da ponte e che mi collegava a qualcuno che era molto di più dell’uomo che in quel momento era chiuso dietro le sbarre.

Quando terminai la prima stesura, la passai a Piccioli. Non sapevo ancora che il mio lavoro era terminato lì. Il film fu finanziato dal Ministero. Monteleone non mi chiamò a collaborare con lui a una seconda stesura. Usò la mia prima stesura come punto di riferimento. Giustamente scrisse e fece il film che voleva fare e rispettai la sua scelta.

Credo però che Horst Fantazzini sia stato ed è molto di più di quello che si vede nel film. Penso che Ormai è fatta sia un bellissimo film, ricco di emozione, scritto e diretto benissimo, ma non restituisce del tutto alla figura del suo protagonista, quella parte profonda che era difficile da percepire, soprattutto da chi lo aveva giudicato per ciò che aveva commesso. Horst Fantazzini, dicevo, era molto di più. Lo so perché io l’ho conosciuto attraverso il fragile e tremolante percorso che ho fatto, scrivendo quella prima stesura della sceneggiatura ispirata alla sua autobiografia. Certi giorni non mi accorgevo neanche del tempo che passavo davanti al computer, mi alzavo per una pausa e mi accorgevo che era buio: mi dimenticavo anche di mangiare tanto mi ero appassionato alla sua storia.

Horst è stato come un fratello che non ho mai incontrato, ma con cui ho vissuto. Grazie alla sua storia sono sicuramente cresciuto perché ho avuto la possibilità di andare oltre le apparenze che lo hanno semplicemente condotto da una fuga a un arresto e da una prigione all’altra.

Spero che un giorno, qualcuno si appassioni a queste mie parole e indaghi più a fondo su chi è stato davvero Horst Fantazzini. Non solo un anarchico come qualcuno ha voluto far passare in questi anni, così come non solo il ladro gentiluomo, l’etichetta a cui fu facilmente accostato, ma soprattutto un uomo sensibile, colto, talmente fragile e indifeso da soffrire in silenzio, nascondendo la sua umanità per paura di ferire chi amava, arrivando anche al punto di allontanarlo da sé, solo per evitare di farlo soffrire a causa delle sue scelte. È questo quello che secondo me, bisogna restituire ad Horst… una possibilità che non è di riscatto, ma semplicemente rivolta a conoscere, attraverso di lui, quelle nostre zone emotive che sono eternamente in conflitto con i nostri opposti, dove bene e male s’incontrano e sono incapaci di riconoscersi come parte della stessa cosa.

Qualche mese dopo aver consegnato la sceneggiatura, andai in ufficio da Piccioli per capire quello che stava succedendo e come stesse procedendo la produzione del film. Mi raccontò che Monteleone stava riscrivendo il film partendo dall’episodio della tragica evasione del 1973. Mi spiegò che stava lavorando in quella direzione. Ci rimasi male perché pensavo di collaborare con lui sulla seconda stesura, per migliorare insieme quello che avevo scritto. Compresi il suo punto di vista e lo rispettai così come bisogna rispettare un artista che segue la sua ispirazione. Gianfranco, prima di andarmene mi disse: «Ma lo sai che ho sentito Horst? Gli ho mandato la tua sceneggiatura!» Mi voltai verso di lui e gli chiesi: «E che ti ha detto?» Piccioli mi rispose che Horst gli aveva detto che aveva pianto: «Come ha fatto Angelo Orlando a scrivere di cose che io non ho mai detto a nessuno?»

Questo è stato uno dei più bei regali che fino ad ora, ho ricevuto in tutta la mia vita.

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