America

AMERICA

Regia di Fabrizio Ruggirello.

Il titolo originale era UOMINI DI MAIS.

Mi arrivò questa sceneggiatura mentre stavo doppiando il film di Massimo Troisi. La lessi e, devo dire la verità, l’idea di partire per il Guatemala e fare un film lì, mi attirava più della storia che non mi catturò a prima lettura. Anche il mio personaggio non mi sembrò particolarmente interessante ma, ci fu una cosa che mi convinse: l’incontro con il regista.

Andai ad incontrare Fabrizio Ruggirello nell’ufficio del produttore, Antonio Cervi. Fabrizio mi introdusse nel suo mondo e soprattutto nel mondo dell’indio Gaspar che gira il paese con un bambino, suo figlio, all’interno di un paese dilaniato dalla guerriglia, pieno di corruzione, dove la giustizia era una parola senza significato, alla ricerca di una donna, sua moglie Maria.

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Fabrizio dissolse i miei dubbi. Il mio personaggio era uno strano portatore di bare. Il suo nome era Revelario e appariva in modo quasi magico e soprattutto, eccentrico al protagonista, a un certo punto della storia.  A distanza di anni, questo film mi appare come un sogno e, probabilmente lo è. Chissà, probabilmente è solo una grande metafora della vita. Accaddero diverse cose in Guatemala, raccolsi tanti segni. Soprattutto vidi per la prima volta all’opera un vero filmmaker. Il film era a basso costo. La produzione aveva preso un finanziamento: il famoso articolo 28 che aveva messo a disposizione qualche centinaio di milioni delle nostre vecchie lire.

Fabrizio lavorava con passione. Con lui c’era la sua ragazza, Giulia, anche sceneggiatrice del film. Durante il primo periodo, la troupe faceva base ad Antigua, la vecchia capitale. Alloggiavamo in una specie di fazenda che si chiamava Posada de Don Rodrigo. All’ingresso del nostro albergo c’erano sempre una quindicina di bambini che stazionavano alla ricerca di qualche regalo. Era una bella sensazione svegliarsi la mattina al suono dei suonatori di marimba e far colazione all’interno del ristorante che affacciava sull’atrio. Per la prima volta mangiai la papaia, quel frutto con tutti i semi neri e soprattutto le famose tortillas di mais che cominciavano a preparare al desayuno, ininterrottamente, fino al pranzo. Ad Antigua conobbi una ragazza di Torino. Si chiamava Patrizia. Aveva lasciato tutto per girare il mondo. A Torino faceva l’architetto. Aveva venduto pure i mobili di casa. Così mi disse. Le regalai un braccialetto. Le dissi quando smetti di girare il mondo e decidi di fermarti, spediscimelo. Credo che stia ancora girando il mondo, oppure si è fermata, ma ha perso il braccialetto.

Il film si girava in piena guerriglia e da poco era stata debellata un’epidemia di colera. Camminavo per le strade e vedevo molta disperazione e povertà. Di notte si sentivano i colpi di mitra nella boscaglia ma, il ricordo di quel mese in Guatemala, tra una fialetta di Enterogermina e un’altra, è ancora vivo.

Fabrizio ci ha lasciato giovanissimo, qualche anno fa, (Dicembre 2013). Aveva da poco compiuto 50 anni. Ne aveva 28 quando girò America. È stato l’unico lungometraggio che ha girato. Una settimana prima che lasciasse il pianeta terra, ci incontrammo a Roma, a Trastevere. Ci eravamo risentiti su uno di questi social network che ti consentono di riprendere contatti con le persone che non vedi da tanto tempo. Io e Fabrizio non ci vedevamo da una decina d’anni. Andammo a pranzo insieme in una trattoria, era una giornata piovosa di novembre. Parlammo di tante cose e io gli dissi che uno dei miei sogni era quello di ritornare in Guatemala. Lui me lo sconsigliò. «Non è più come prima. Meglio se te lo ricordi così com’era quando ci siamo stati noi. Hanno reso il mondo tutto uguale!» C’era tanta amarezza nelle sue parole, ma nello stesso tempo, c’era una strana calma, come se dentro di sé, avesse trovato un’isola felice. Me lo ricordavo con un’energia di tipo diverso, sempre in fermento, quasi elettrico, soprattutto con tante idee in testa che gli straripavano dagli occhi. Mi disse che aveva una bimba, faceva il papà e aveva aperto con la sua donna una casa editrice. Mi chiese di leggere qualcosa di mio, per eventualmente, pensare di pubblicarlo. E poi mi parlò di una sceneggiatura che aveva scritto insieme a un regista di cui io avevo già visto il suo primo film e che mi era piaciuto. «Sì… perché il cinema non l’ho mai abbandonato e non lo abbandonerò mai…» Questo mi fece capire tra le righe…

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Vi lascio qui il film che Fabrizio stesso ha caricato su youtube.

Qualcuno ai tempi, gli consigliò di tagliare l’intervento del personaggio di Revelario. Successe dopo un’anteprima del film a Roma. Qualcuno lo convinse ad accorciare il film e la cosa più semplice da togliere era tutto l’intervento del mio personaggio che rappresentava un episodio a sé stante nel film.  Lui tolse tutte le scene ma si pentì e le riposizionò in coda al film, dopo i titoli di coda, come se fosse un piccolo cortometraggio alla fine. E lì, lo troverete, in quella posizione, dopo la traversata dello specchio di mare, sui titoli di coda, nell’acqua bassa di Livingstone, ai confini con il Belize, dove Compadre Revelario accompagna Gaspar, verso una dimensione che sta al di là di ogni possibile comprensione umana, su quelle ultime parole che risuonano come un’eco di verità: «Ci rivediamo in Paradiso, compare!»

P.S. Quell’ultimo film che scrisse Fabrizio, era «Anime Nere», del regista Francesco Munzi. Un anno dopo, vinse il David di Donatello come miglior sceneggiatura.

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