Autunno 1943. L’Italia e il mondo sono in guerra. Un gruppo di commilitoni si ritrova prigioniero in una villa dismessa e apparentemente abbandonata. Ma questo scenario surreale è solo l’inizio della loro avventura. In realtà, infatti, sono tutti morti. E quella sorta di casa misteriosa, non è altro che il luogo fisico del trapasso. Dietro quella porta, c’è l’al di là. L’oltre. Il giudizio supremo, forse una nuova vita. Lo sgomento dilaga nel gruppo. Si affollano le perplessità. Ma dopo il trauma iniziale, attraverso una specie di confessione collettiva, i soldati cominciano a raccontare le proprie vicende personali. In comune c’è la morte per una guerra inutile. Ma esiste ancora una speranza, un messaggio di pace, per chi è rimasto quaggiù. Ed il più giovane di loro, la cui moglie attende un bambino, ne sarà il portavoce.
È l’ultimo lavoro del regista e sceneggiatore Marcello Aliprandi, il cui debutto dietro la macchina da presa risale al 1970, con La ragazza di latta: in tutto ha diretto sette pellicole. Si è spento a Roma, il 26 agosto 1997, all’età di sessantatré anni. Martin Balsam, invece, prolifico attore del grande e piccolo schermo. Tra i riconoscimenti artistici conquistati dall’attore alla data d’uscita del film, si ricordi l’Oscar come Miglior Attore non Protagonista per A Thousand clowns, nel 1966, e la Notion ai Golden Globes, nella stessa categoria, per Summer, Wishes, Winter Dreams, nel 1974.
ANEDDOTICA…
Era marzo del 1993. Ero in scena con «Messico & Nuvole».
Durante le repliche di quella commedia, conobbi Marcello Aliprandi, il regista di «Soldato Ignoto». Marcello mi offrì il ruolo del soldato Moretti. La sceneggiatura mi era piaciuta tantissimo e non volevo perdere il film. Ma le riprese si svolgevano a Bellaria. Le rappresentazioni della commedia erano al teatro dei Satiri, a Roma. Decisi di fare il film rinunciando al classico dopo teatro: invece di andarmene in pizzeria, prendevo la macchina e partivo per raggiungere il set del film. Guidavo di notte e qualche volta, partivo all’alba. Ero d’accordo con Marcello che mi liberava sempre in tempo, per poter tranquillamente raggiungere Roma e andare a fare lo spettacolo. Un giorno però, sulla via del ritorno, trovai un’interruzione a Orte. Mi rimandarono indietro, verso Perugia e da lì, mi ritrovai sull’autostrada, verso Lanciano, a due ore e mezzo da Roma. Erano le sette. Lo spettacolo a teatro cominciava alle nove. Significava che dovevo correre. Avevo da poco comprato il telefonino e avvisai di un probabile ritardo. Ci misi due ore a coprire la distanza e arrivai a teatro in tempo. Il pubblico era già dentro. Quella replica durò venti minuti di meno. Il regista mi chiese: «Ma perché sei andato così veloce? Hai sbagliato tutti i tempi!» Capii che non mi ero liberato della fretta di arrivare in tempo. Ero salito sul palcoscenico ancora preso dalla paura del ritardo. E avevo bruciato tutte le pause.
Da allora, non ho più accettato due lavori contemporaneamente.
«Soldato Ignoto» è un bel film. Grazie a questo film nel 1995 andai in Brasile, al festival del cinema latino di Gramado. MI diedero il premio come MEJOR ACTOR COADYUVANTE e per un attimo accarezzai l’idea di fermarmi un po’ da quelle parti, dove ero diventato all’improvviso un piccolo divo.
Tutt’oggi, mio padre dice che è il miglior film che io ho fatto.
Sono molto grato a Marcello Aliprandi. È stato uno dei pochi registi con cui ho avuto un rapporto che è andato al di là della realizzazione del film. A Bellaria eravamo un bel gruppo, con me c’erano Andrea Prodan, Giovanni Guidelli, Giovanni Visentin e altri.
Marcello mi cercava spesso, si interessava del mio lavoro ed era curioso del fatto che volessi fare il regista. Ha amato moltissimo il mio primo film e mi diceva che ero stato coraggioso. Mi è stato vicino anche in alcuni momenti delicati della mia vita. Oggi non è più tra noi, ma mi capita spesso di ricordare la sua voce e i suoi aneddoti che amava raccontare a tavola, tra un bicchiere di vino e un altro. «Soldato ignoto» indubbiamente è un piccolo film, ma è una storia che secondo me racchiude significati profondi, a suo modo, pone delle domande e ci fa interrogare sulla vita, su questa dimensione e su altre possibili che ci scorrono accanto, invisibili. È un film per esperti navigatori dell’animo umano ma è anche una storia semplice, con un’atmosfera magica, dove la nebbia è quella sottile membrana che ci separa dall’illusione o dalla realtà di un mondo ultrasensibile. Lo trasmettono ogni tanto su Rai 3, nel cuore della notte. Quando qualcuno mi dice che lo ha visto, me lo annuncia quasi con tono meravigliato, quasi con l’incredulità di chi ha visto all’improvviso qualcosa che mai si sarebbe aspettato. /p>