Pensavo fosse amore… invece era un calesse

MASSIMO E ME
Era un po’ che ci giravo intorno. Parlare di Massimo.
Ogni tanto, qualcuno me lo chiede.
“Com’era Massimo Troisi?”
Il silenzio che ne segue, non ha a che fare con un trattenere qualcosa che ha dello speciale o chissà che, un vuoto dovuto a una difficoltà nel dire com’era una persona che hai conosciuto tanto tempo fa. Massimo è presente nella mia vita, come una specie di guida invisibile che mi corregge, mi spinge o mi frena. È una piccola e grande luce che, come una stella della nostra galassia, può essere raggiunta con quello sforzo d’immaginazione che troppo spesso evitiamo di fare. Un pensiero… la natura è l’eterno. Questa natura che può auto-generarsi. «Uomini e Dei» un tempo passeggiavano insieme, si aiutavano, si facevano i dispetti, giocavano e uniti in un bel girotondo, producevano una scena straordinaria.
Azione!
E l’uomo entra in scena.
Ovvero, passa dal nulla al nulla.

«Com’era Massimo Troisi?»
Qualcuno me lo ha chiesto ultimamente.
E io come al solito, sorrido e prendo tempo. E questo tempo, molto spesso, mi porta a dire due o tre cose per continuare ad agganciarmi a una sensazione che, a seconda di come sto, è vicina e distante. Come una stella, appunto. Vicina per lo sguardo, perché quella luce la posso vedere, distante perché, come una stella lontana anni luce, è irraggiungibile dalla mia piccola postazione terrestre.
Ma da qui, ora, in una disoccupazione forzata, con tanta voglia di restare in contatto con uno spirito vero e non cedere a quella che ormai, simpaticamente chiamo: la mia sorella pigrizia, cerco di fare qualcosa di utile per me, magari anche per chi, la prossima volta, mi chiederà: “Ma com’era Massimo Troisi?

Vediamo un po’…

Un po’ di tempo fa, una ragazza mi cerca sul web, mi trova e si presenta: «Sono una giornalista. Sta per uscire una collana sui film di Massimo Troisi. Le andrebbe di rispondere a qualche domanda?» Allora penso che forse questa è un’occasione buona. Mi faccio mandare le domande e mi prendo tempo. Scrivo risposte e queste risposte mi sembra che non bastino mai. E allora mi prendo altro tempo, fino a quando la ragazza giornalista (prima o poi leggerà anche lei questo post) mi sollecita. Mi dice che è quasi urgente e allora, mi affretto e tolgo tempo al mio tempo, scrivo, scrivo recuperando sensazioni, quante cose da dire, da lasciar andare. E poi si sa che sono un traghettatore di attimi. Li trasporto dal fiume del passato al mare del presente. E alla fine scrivo, e scrivendo, gli occhi si riempiono di lacrime, però sono contento. Strano cocktail. Gioia e lacrime. Poi premo invio. Evito di rileggere, ma sento quella bella soddisfazione che provavo anche a scuola quando consegnavo il compito in classe: finito!
La giornalista mi risponde subito. Mi dice che quello che è ho scritto è molto bello e che le piange un po’ il cuore a doverlo ridurre perché «lo spazio è molto poco rispetto a quello che ci sarebbe da dire…»
Io un po’ me lo aspettavo, ma in cuor mio, sono contento. Grazie a lei ho avuto il coraggio di andare lì dove una perdita ora ha acquisito quella distanza giusta per riconoscerla come un grande insegnamento. Ho approfittato di un’intervista per estrarre qualcosa che non mi aveva lasciato neanche il tempo di soffrire. Già…
C’è un racconto di Dostoevskij, inserito ne «I Fratelli Karamazov», che parla di una madre che va da padre Zosima a gridare tutto il suo dolore. Il buon prelato cerca di consolarla usando argomenti tradizionali della fede, cioè della giustificazione di Dio. La donna però, non riesce a trovare un argine al suo dolore, non vuole la giustificazione di Dio, non ha bisogno di essere consolata. Padre Zosima ad un certo punto, abbandona il suo punto di vista di pastore di anime. Si mette sul suo stesso piano e le dice: «Vai, piangi tutte le tue lacrime e chissà, che un giorno le tue lacrime non si convertano in qualcosa di molto prezioso!»
Questione di tempo. La vita, la vera maestra, ci aspetta al bivio di una comprensione paziente.
Chi lo sa perché a volte, abbiamo bisogno di così tanto tempo prima di ritrovare il passaggio che ci fa comprendere che è giusto piangerle davvero tutte le nostre lacrime.
Qualcosa di prezioso.
E allora, mi vado a rileggere quello che avevo scritto. E penso che qui, in questa zona che mi sono ricavato, lo spazio non è poco. Posso pubblicare esattamente quello che avevo scritto. E allora lo ritiro fuori. Lo rileggo, faccio copio e incollo e poi… poi aggiungo, correggo, cambio, tolgo e alla fine, di quella vecchia intervista, rimane ben poco.
Quel dvd poi l’ho cercato. Non l’ho trovato. Non lo so quello che è rimasto di ciò che avevo scritto. Quelle emozioni recuperate da un passato neanche troppo lontano, cedono il passo a quello che ora è il miracolo di un nuovo istante del qui e ora, fatto di un’altra notte lontano da Roma, accanto al ricordo dell’ultima poesia che mi ha regalato Massimo, ma questa, è un’altra storia.

TRAMA (Da Wikipedia)

È la storia di due giovani fidanzati napoletani, Tommaso (Massimo Troisi) e Cecilia (Francesca Neri), la cui vita è estremamente regolare con i soliti amici e frequentazioni: lui ha una trattoria nel Borgo Marinari accanto a Castel dell’Ovo, vicino alla libreria del loro amico Amedeo (Angelo Orlando), celibe e bigotto, con una sorella adolescente (Alessia Salustri) innamorata di Tommaso. Il matrimonio dei due è alle porte, ma la gelosia di Cecilia rischia di rovinare tutto: durante un momento di intimità crede di sentir pronunciare da Tommaso il nome di un’altra donna, in un’altra occasione lo prende per i capelli quando viene a sapere che un’altra donna lo ha cercato al telefono, infine durante la scelta delle bomboniere fa una scenata pensando ai fantasmi di queste rivali ipotetiche, fino a quando gli comunica, per citofono, che intende lasciarlo, di non sposarsi più e di sparire.

Frattanto Amedeo si fidanza con Flora (Natalia Bizzi), ex fidanzata di un amico comune, Giorgio (Corrado Taranto). La sorella di Amedeo, non riuscendo a conquistare Tommaso, tenta di avvelenarlo con il veleno per topi nel caffè, ed in un’altra occasione, per gelosia, darà anche fuoco alla motocicletta di Enea (Marco Messeri), nuovo fidanzato di Cecilia.

Raccogliendo le voci di amici, Tommaso viene a sapere che Cecilia si è fidanzata con Enea, un avventuriero molto più grande di lei, dedito a molte attività, che le promette grandi orizzonti ma un modesto, se non inconsistente, presente. Questo ovviamente agli occhi di Tommaso, il quale si chiede come faccia Cecilia a innamorarsi di un uomo di non bell’aspetto e per giunta con un nome che trova ridicolo. Tommaso tenta anche la via della magia bianca presso una sedicente fattucchiera per sistemare le cose. I due alla fine tornano insieme, e si fanno trovare in flagrante effusioni amorose dallo stesso Enea, il quale con rassegnazione rivela a Tommaso di adorare Cecilia al punto di non riuscire a sfiorarla con un dito. I due giovani, ritrovatisi, riprendono ad organizzare il loro matrimonio.

Tuttavia il giorno delle nozze è Tommaso a non presentarsi all’altare: con il vestito da cerimonia si reca dalla fattucchiera, non per ringraziarla (infatti non è merito suo) ma per chiederle «Come mai non la amo più?». Manda una lettera a Cecilia dandole appuntamento in un bar, dove giunge anch’essa in abito nuziale. Qui le confida che uomo e donna non sono assolutamente fatti per il matrimonio. Lei si trova d’accordo, e i due si organizzano per uscire la sera.

 

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ARTICOLO apparso per la prima volta sul blog Quasi un Diario, nell’agosto del 2011.

MASSIMO E ME